Quando la politica dimentica le persone
Tra algoritmi e bilanci, il rischio di perdere l’ascolto e la cura per le persone.
In questi giorni si parla di una nuova manovra economica, di cifre, percentuali e tagli.
Ma quello che colpisce non è tanto il contenuto, quanto il metodo: pare che tutto sia stato deciso con un algoritmo, un foglio Excel, una formula automatica.
E allora viene da chiedersi: quando abbiamo accettato che le nostre vite potessero essere ridotte a una cella di calcolo?
Dietro ogni numero ci sono storie, volti, fragilità.
Un taglio alla sanità non è un risparmio: è un giorno in più d’attesa per chi soffre.
Un bonus mancato non è solo una voce in meno nel bilancio: è un aiuto che non arriva, un respiro che si fa più corto.
Ogni decisione politica – anche la più “tecnica” – pesa sul quotidiano delle persone comuni.
Eppure sembra che la politica, in questa epoca di automatismi, abbia perso la capacità di ascoltare.
Tutto è efficienza, tutto è immediatezza, tutto deve “funzionare”.
Ma la vita non funziona come una formula.
La vita si intreccia, si complica, chiede tempo, comprensione, empatia.
Ci riempiamo la bocca di parole come crescita, produttività, competitività, ma raramente sentiamo parlare di cura, di attenzione, di tempo umano.
E così, a forza di ottimizzare, rischiamo di disumanizzare.
Un Paese non si governa solo con la logica.
Si governa con il cuore, con la capacità di guardare oltre il dato, di riconoscere che la realtà non è fatta solo di numeri, ma di persone che quei numeri li vivono sulla pelle.
Forse dovremmo ripartire da qui:
dal silenzio necessario per ascoltare davvero,
dal coraggio di fare politica non per “funzionare meglio”, ma per vivere meglio.

